Eo è un film piuttosto sui generis, per svariati motivi. Innanzitutto, è un’opera priva di una vera e propria trama. Lo spettatore si ritrova solo ed ignaro ad assistere all’odissea del povero asinello – quasi una sorta di Pinocchio più tenero e schietto e meno ambizioso – senza che gli venga fornita una vera spiegazione dei fatti. Fatti che poi, in effetti, non sono neanche da definirsi tali, dal momento che il film presenta stralci di intreccio, squarci di vite non connesse tra di loro, ma accomunate da un profondo disagio.
L’elemento umano è, comunque, marginale, perché il vero protagonista è appunto Eo, l’asino. E – cosa che rende la pellicola molto originale - suo è spesso lo stesso punto di vista adottato dalla macchina da presa, che, sovente, “guarda” il mondo circostante proprio attraverso lo sguardo dell’animale, a livello di posizione, altezza e, talvolta, anche di colori. È ipotizzabile, infatti, che le scene con filtro rosso che compaiono in determinati momenti del film cerchino di riprodurre il modo di vedere di Eo. Questo espediente contribuisce, inoltre, a conferire all’opera quel senso di oppressione e di angoscia che la caratterizza.
Eo è un’opera cinematografica dotata di una bella fotografia. All’inizio del film, si ha un momento piuttosto particolare, durante il quale la macchina riprende la camminata di una delle figure umane che compaiono nella pellicola, Kasandra (Sandra Drzymalska). La ragazza si sposta lungo uno dei tendoni del circo e la macchina da presa, seguendola, fa sì che la scena si riempia della calda allegria delle numerose lampadine appese alla struttura.
Poco dopo, la camera offre un’altra immagine interessante, mostrando Kasandra, che, in mezzo alla strada, osserva affranta l’allontanarsi di Eo. La ragazza viene inquadrata da lontano, dal basso, in modo da includere una porzione di asfalto in primissimo piano.
Di grande fascino anche le inquadrature della fauna del bosco, che regalano nitide e dettagliate immagini di animali come gufi, lupi e piccoli mammiferi.
Eo è un’opera abbastanza accattivante, che appare anche come una riflessione ed una critica nei confronti dello sfruttamento e del maltrattamento degli animali. Peraltro, offre anche una interpretazione convincente per quanto riguarda il lavoro compiuto da Sandra Drzymalska. Tuttavia, la visionarietà che il film presenta, per quanto intrigante, rischia di diventare a tratti eccessiva e di portare lo spettatore a chiedersi quale sia effettivamente il vero scopo di un simile spettacolo. Inoltre, malgrado questa scelta sia stata fatta probabilmente al fine di aumentare l’empatia con l’animale, la figura di Eo risulta, in alcuni casi, troppo umanizzata per comparire in un film che non si dichiara un’opera di fantasia.
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