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LE BUONE STELLE - BROKER. LA NOSTRA RECENSIONE

Le buone stelle-Broker, diretto da Hirokazu Kore’eda, è un film molto forte sul piano emotivo e, a mio parere, molto ben riuscito, che concentra l’attenzione sulla delicatissima tematica legata alle difficoltà di crescere figli in situazioni socio-economiche disastrate e alle speculazioni che su queste difficoltà fanno leva.

La vicenda narrata è complessa ed estremamente drammatica, ma la grande forza dell’opera sta nell’essere riuscita a presentare i personaggi come individui gravati da una profonda disperazione, come disgraziati, prima che come criminali, facendo emergere un senso di umanità e di compassione che stravolge e commuove lo spettatore. In un certo senso, le cinque persone coinvolte, pur essendo del tutto prive di qualunque legame genetico e anche di un rapporto realmente sano, potrebbero davvero diventare una famiglia (il tema della famiglia come gruppo composto in realtà da non consanguinei è, in effetti, caro al regista, come emerge anche da Un affare di famiglia).

Si crea, nel film, una intensa dicotomia, per la quale la ragazza madre e i due broker, appaiono, ovviamente, come rivali, ma che fa vedere come, dalla disperazione, nasca poi tra loro un profondo legame, una complicità genuina e un forte bisogno di reciproco sostegno. A pensarci, è assurdo. E in ciò consiste la straordinarietà del film, nello sconvolgimento emotivo e cognitivo che questo bizzarro stato di cose provoca.

Nella pellicola, si riscontra una forma di denuncia sociale o, quantomeno, una meritevole volontà informativa riguardo all’orrida pratica delle cosiddette “ baby boxes”, letteralmente sportelli da aprire per infilarvi le culle con i bimbi che le famiglie non riescono a crescere (atroce pensare che questi strumenti esistano davvero in alcune zone della Corea, anche se sono forse “necessari” per arginare situazioni peggiori).

Le buone stelle-Broker potrebbe quasi essere considerato un road movie, lo sgangherato furgoncino che ospita gli spostamenti dei cinque personaggi principali diventa una sorta di sesto protagonista. Tra l’altro, il film dimostra anche una certa attenzione dal punto di vista stilistico, come si può vedere nella sua parte iniziale. Infatti, nei primi minuti dell’opera si assiste a un uso molto astuto della luce, che porta alla creazione di un’atmosfera buia, piovigginosa, la quale risulta adattissima ad accompagnare lo spettatore nel clima di estrema drammaticità che la storia presenta (pur conservando alcuni momenti di maggiore leggerezza e, quasi, di ilarità).

Le buone stelle-Broker è un film capace di far concentrare il pubblico su aspetti fortemente duri della società, senza privarlo della speranza. Forse proprio grazie a questo rispetto, alla “tenerezza” che ha utilizzato verso lo spettatore, Hirokazu Kore’eda riesce ad avvicinare più efficacemente un maggior numero di persone diverse alla realtà drammatica che ha voluto rappresentare, senza costringerle, in un certo senso, a chiudersi in un rifiuto auto difensivo.

Per concludere, una piccola riflessione su un aspetto del film, relativo alla rappresentazione della polizia. Le due agenti che pedinano i personaggi principali risultano quasi co-protagoniste della vicenda e il loro sostare in auto a mangiare svariati cibi take-away durante i diversi appostamenti diventa una specie di leitmotiv del film. Inoltre, quella presentata in Le buone stelle-Broker è una polizia piuttosto giudicante, che non si limita a tutelare la legge individuando chi la infrange, ma che sconfina in ciò che non le spetta, nel giudizio delle persone di cui si occupa: in almeno un paio di punti del film, da parte di agenti diversi, sentiamo frasi come “Non fai un figlio e poi l’abbandoni”, oppure “Che madre è?”, rivolte esplicitamente ai diretti interessati.


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