Interno, giorno, tipico pomeriggio disteso sul finire degli anni novanta, o languido tramonto estivo che si snoda tra luci arancio e lavanda al suono delle campane.
Tutte le bambine d'Italia, in quel momento, si trovavano nello stesso posto.
Davanti alla televisione.
Perché a quell'ora il tubo catodico si illuminava di luce lunare; per mezz'ora ci si apriva davanti un mondo fatto di tinte pastello e lotte contro il male.
In altre parole, Sailor Moon.
Ormai erano passati i tempi delle maghette dello Studio Pierrot, dove al massimo potevi aspirare a trasformarti in una bella ragazza dai capelli viola strafalcionando slogan senza senso; qui le ragazze lanciavano fulmini, sparavano fiamme, ti piantavano raggi accecanti nelle orbite pronte a giocarsi la pelle pur di salvare il mondo in sfolgoranti e variopinte uniformi alla marinara.
Naoko Takeuchi nel 1991 ha letteralmente stravolto le leggi del fumetto giapponese mescolando l'azione e i valori del genere shonen (destinato al giovane pubblico maschile) con l'estetica e le emozioni del genere shojo (destinato al giovane pubblico femminile), cimentandosi in un super sentai ormai entrato nella storia.
Le protagoniste ormai arcinote non sono personaggi monodimensionali, hanno fattezze e caratteristiche uniche, sono le ragazze che incontreresti nei corridoi della scuola, quelle di cui vorresti essere amica a tutti i costi; non a caso la stessa autrice ha ammesso di averle create proprio pensando a ragazze che ammirava posando un frammento della sua personalità su ognuna: soleva acconciarsi i capelli come Bunny (Sailor Moon) quando doveva affrontare un esame o una prova importante (i caratteristici codini sono chiamati "odango" perché la loro forma ricorda i dango, rotondeggianti dolcetti giapponesi), come Rea (Sailor Mars) da ragazza era un'apprendista miko (sacerdotessa) presso un santuario shinto, come Amy (Sailor Mercury) era bravissima a scuola ed era interessata principalmente alle materie scientifiche (la Takeuchi è laureata in farmacologia), Marta (Sailor Venus) era la protagonista di uno dei suoi primi lavori e Morea (Sailor Jupiter) è stata creata sul modello di una "sukeban" (ragazze teppiste molto famose nel Giappone anni 70/80) che inquietava e allo stesso tempo intrigava molto l'autrice ogni volta che la vedeva alla fermata della metro di ritorno da scuola.
Sono molto più che principesse da salvare, protette dalla forza dei pianeti di appartenenza non hanno paura di ergersi in prima linea contro i malvagi e le ingiustizie, anche al di fuori delle loro alter ego; di rado vengono aiutate da un uomo e quando ciò avviene (a parte i siparietti di dubbio gusto di Milord, che sembrano più pretesti per dargli un senso onestamente) si tratta quasi sempre di una situazione di mutuo soccorso, non di un salvataggio stereotipato.
Certo, le trasformazioni stravaganti piene di brillantini ancora rimangono, ma in tandem con gli argomenti più disparati e spinosi: dal bullismo alla malattia mentale, dai rapporti disfunzionali alla violenza intima; emozionandoci ci trasmetteva valori come la consapevolezza di sè e il sacrificio per un bene più grande.
Assieme a scorci leggendari di una Tokyo anni novanta che ancora utilizzano come copertina nelle playlist di musica lo-fi e una colonna sonora tra l'onirico e l'epico, la serie anime di Sailor Moon è un gioiello dell'animazione nipponica, tanto affascinante quanto longevo (cinque serie per ben duecento episodi complessivi).
Immaginate la mia delusione quando da adulta, cercando la controparte cartacea, scoprii che era composta nella sua totalità da poco meno di una ventina di volumetti (oggi come allora, la maledizione dei filler colpì duro anche la povera Naoko, che fu quasi mandata alla neuro per via delle pressioni della Toei Animation per mandare in onda più episodi possibili); nonostante la costernazione iniziale non si può non considerare l'alta qualità dell'opera. Il manga presenta linee lievissime e tondeggianti, quasi eteree, ricciolute fino all'estremo. Uno stile così delicato si incontra e si scontra alla perfezione con una storia potente, più cruda della trasposizione televisiva.
La serie anime in Italia ha subito pesanti censure, perché solitamente se una cosa viene amata da bambini e ragazzi non può mancare lo zampino del gap generazionale: personaggi maschili particolarmente androgini sono stati doppiati da donne, il rapporto amoroso tra due personaggi femminili è stato modificato in una "profonda amicizia" (cari i miei bigottoni, a otto anni tutti sapevamo che Sailor Uranus e Sailor Neptune si amavano, ma dato che avevamo otto anni non ce ne importava una leppa e volevamo solo vederle mentre prendevano a mazzate i nemici con quell'incredibile colonna sonora) e una psicologa da salotto televisivo ha accusato pubblicamente l'anime di "far diventare omosessuali i bambini" (il fatto che certa gente pensi che un media possa far cambiare orientamento sessuale fa ridere polli, tacchini, piccioni e lo scibile ornitologico tutto).
Sailor Moon ha fatto sognare e continua a far sognare bambine, ragazze e donne di tutto il mondo,
Quando alziamo lo sguardo e vediamo la luna, diventiamo guerriere.
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