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BEATRICE D'ESTE, IL DIAMANTE DELLA CORTE DEL MORO

“Beatrice bea, vivendo, il suo consorte, e lo lascia infelice alla sua morte; anzi tutta l'Italia, che con lei fia triunfante, e senza lei, captiva” – L. Ariosto, “Orlando Furioso”, canto 42, ottave 91-92



Di Beatrice D’Este si parla poco, sebbene sia da considerare come una delle figure femminili più influenti del Rinascimento italiano. La storia ce l’ha fatta passare unicamente come una ragazza carina che ha avuto la fortuna di diventare duchessa di Milano, interessata solo alla moda e ad altre futilità, senza considerare l’impatto che la sua figura ha lasciato per tutto il resto dei secoli.

Venuta alla luce nel 1475 alla corte degli Este di Ferrara, la sua nascita rappresentò immediatamente una delusione per la famiglia: come una Lady Oscar ante litteram, il padre si aspettava il tanto atteso erede maschio, e invece era sopraggiunta un’altra femmina. Così, subito in tenera età Beatrice venne spedita come un pacco postale alla corte di Napoli presso il nonno materno, che era niente poco di meno che il re Ferrante d’Aragona; finalmente lì visse un’infanzia spensierata, ritrovando tutto l’affetto che non era riuscita a guadagnarsi a Ferrara. Pareva, infatti, che il nonno le fosse devotissimo, tanto da negare ogni suo ritorno presso gli Este pur di tenerla accanto a sé.

Per la piccola Beatrice questo rappresentò un vero colpo di fortuna, giacché in tal modo fu libera di ricevere una raffinata educazione e dare libero sfogo alla vivacità e alla curiosità che la contraddistinguevano. La sorella maggiore Isabella, l’intellettuale di famiglia, cercava sempre di contenere la sua esuberanza e insegnarle un po’ di contegno, ma non c’era alcun verso; Beatrice era un vero e proprio vulcano di energia che sprigionava ovunque andasse, cosa che era decisamente apprezzata alla corte di Napoli ma molto meno a quella di Ferrara. Fra le due sorelle non correrà mai troppo buon sangue, forse a causa una sorta di gelosia mai dichiarata di Isabella nei confronti della sorellina minore, che la porteranno a intromettersi un po’ troppo spesso nella vita di Beatrice, anche e soprattutto dopo le sue nozze.

Infatti, guarda caso, verso il 1485 il duca Ludovico Maria Sforza, detto il Moro, soprannominato così per via dei lineamenti scuri, era in cerca di una moglie; nonostante fosse ormai sulla quarantina, era ancora un uomo affascinante e molto colto, senza contare che era famoso in tutta Italia per la sua mente machiavellica e i pochi scrupoli a eseguire ciò che andava fatto per il bene del suo ducato. In teoria governava Milano in qualità di reggente per conto del nipote, ma, nella pratica, tutti sapevano che la città era in suo potere, il che lo rendeva un partito assolutamente appetibile. La sua scelta iniziale ricadde, ovviamente, su Isabella, la quale però era già stata promessa a Mantova, pertanto fu costretto a “ripiegare” su Beatrice, la minore. Una scelta che, come ammetterà poi il duca stesso nel corso degli anni, si rivelò il miglior dono che il cielo potesse concedergli.

Il nonno Ferrante non era per niente contento di dare in sposa la nipotina così giovane, tanto che trovò ogni pretesto pur di ritardare le nozze e tenerla con sé il più a lungo possibile; tuttavia, alla minaccia di Ludovico di sciogliere la promessa e alle suppliche degli Este che avevano un disperato bisogno dell’appoggio di Milano, fu costretto a lasciarla andare.

Nel rigido inverno pavese del 1491, con “un tempo così freddo da far gelare il vino nel bicchiere”, Beatrice D’Este raggiunse Pavia, dove andò in sposa a Ludovico Sforza. Ai festeggiamenti partecipò anche Leonardo Da Vinci, il quale collaborò alle sfarzose cerimonie che si tennero presso il castello di Milano con costumi ed invenzioni pirotecniche sorprendenti per l’epoca. I mesi iniziali furono alquanto disastrosi, poiché la nuova duchessa si mostrò timida e impacciata; ma evidentemente Beatrice aveva solamente bisogno di ambientarsi nella nuova corte, tant’è che, già bella e aggraziata com’era, lontano dalla famiglia e dalla sorella opprimente, rifiorì di una luce tutta sua. Non ci mise molto a far innamorare perdutamente di sé il marito, che addirittura chiuse per sempre i rapporti che intratteneva da anni con l’amante Cecilia Gallerani, nota alla storia per essere l’ispiratrice del celeberrimo dipinto di Leonardo da Vinci, la Dama con l’Ermellino.

Ludovico abbellì per la nuova moglie il Castello Sforzesco di Vigevano, affinché ella potesse disporre di una residenza di campagna non meno pittoresca di quella di Milano; al giorno d’oggi, dove allora si trovava la “loggia delle dame”, ossia le stanze occupate dalla duchessa e dalle altre donne della corte, i vigevanesi narrano che, nelle calde notti d’estate, gli spiriti inquieti delle dame di Beatrice amino ancora passeggiare nel loggiato.

Di certo la nuova duchessa era dotata di un bel temperamento focoso, che non mancò di dimostrare in diverse occasioni: pare che, durante una passeggiata al mercato mentre pioveva, si azzuffò con certe popolane che l'avevano insultata per via dei panni con cui lei e altre dame si erano riparate la testa dalla pioggia.


“Altera ed ambiziosa, di persona dignitosa, di lineamenti belli sì, ma maschi, distinguevasi per un'aria grave e imperiosa. Vestiva principescamente; il suo sguardo respirava il comando; il sorriso non atteggiava il suo labbro, ma appariva però in esso una specie di giovialità di condiscendenza. Tale era questa donna, che non poco impero seppe esercitare sul marito stesso; il quale tanto sapea raggirar gli altri. Mancava a Lodovico il Moro l'ardimento; ed era Beatrice che in questa parte sempre veniva in suo soccorso.”


Orgogliosa e ostinata, sebbene fosse la figlia meno prediletta, fu in realtà quella più simile al padre per indole, dal quale ereditò la spavalderia e l'animo "senza paura", poiché sembrava trarre piacere dagli esercizi violenti e dalle situazioni di pericolo. Sarà lo stesso Ludovico a raccontare ammirato un episodio in cui, durante una battuta di caccia, il cavallo di Beatrice fu urtato da un cervo imbizzarrito e s'impennò, ma la moglie si tenne ben salda in sella e, quando riuscirono a raggiungerla, la trovarono che rideva come una bambina.

Sempre dal marito sappiamo pure che le piaceva addestrarsi all'uso delle armi: in una miniatura francese è raffigurata con un pugnale cinto al fianco, inoltre sapeva tirare di balestra; spesso giocava a palla con i fratelli e i cortigiani, sebbene tutte queste attività prettamente maschili, quali appunto l'equitazione, la caccia e la palla, fossero ufficialmente vietate alle donne. Amava giocare d’azzardo ed era particolarmente abile a vincere a carte. Adorava anche danzare, arte in cui eccelleva con grazia singolare. Inoltre, la giovane duchessa adorava le burle: si divertiva particolarmente a fare scherzi ai danni dell’antipatico ambasciatore Trotti, all'epoca settantenne, il quale si ritrovò più volte la casa invasa da una gran quantità di volpotti, lupi e gatti salvatici, che il Moro acquistava presso certi contadini vigevanesi e che Beatrice, essendosi accorta di quanto simili bestie infastidissero l'ambasciatore, gliene facesse gettare in casa quanti più poteva per mezzo di camerieri e staffieri che ricorrevano ai più impensabili espedienti. Inoltre, essendo l'ambasciatore avarissimo, una volta la terribile Beatrice, con la complicità di un marito molto innamorato, arrivò perfino a “derubarlo” di quanto portava indosso, seppure per una buona causa: mentre Ludovico lo teneva fermo per le braccia, lei gli estorse due ducati d'oro, il cappello di seta e il mantello nuovo, regalandoli poi alla nipote del Trotti affinché li donasse in beneficenza ai più bisognosi.

Un altro successo personale arrivò con la moda, dato che Beatrice incarnò una sorta di Jackie Kennedy della pianura padana; ogni nobildonna d’Italia voleva essere immediatamente informata su cosa avrebbe indossato la duchessa, persino le nobili francesi vennero invitate dal loro re a copiarne lo stile; così Beatrice si prese la briga di inviare alcune bamboline in Francia per insegnare loro l’accostamento dei colori. Uno dei tanti stili da lei lanciato pare essere stato l'uso del “manicotto di zibetto” o anche l'idea di mettere in risalto la vita stringendovi attorno un cordone di grosse perle, che rappresentarono sempre uno dei suoi più grandi vezzi. Inoltre, nel XV secolo i cappelli erano ancora rari nel guardaroba femminile, ma anche di questi la duchessa fece un grande uso; infine, introdusse anche la sottile gorgierina stretta attorno alla gola, già preannunciatrice della moda del secolo successivo.


“Poche figlie d'Eva hanno esercitato sugli uomini e sui loro tempi tanto fascino e tanta influenza quanta Beatrice [...] Caratteristica giovane questa Napoletana! Che educata tra i chiassi e le scaltrezze degli Aragonesi, crebbe spigliata insieme e colta tanto da saper tenere a Venezia un discorso solenne in latino, ed entusiasmare di sé Massimiliano imperatore e Carlo VIII [...]. Frivola e civettuola nelle apparenze, e biricchina al punto di correr per le vie come una donnicina del popolo, ma superba e tenace sul suo trono…”


Ammaliato, come tutti, dal fascino della moglie, il marito seppe sfruttare le sue virtù anche per alcune delicate missioni diplomatiche, come quella organizzata a Venezia per saggiare l’opinione del Doge riguardo una sua eventuale legittimazione a Duca di Milano; in apparenza quella di Beatrice fu gestita come una banale visita di rappresentanza, per congratularsi della lega appena conclusa; ma, in verità, la duchessa avrebbe dovuto trattare con il Senato, da sola, di “affari segretissimi”. La missione fu comunque un insuccesso, dato che Venezia non intendeva appoggiare il Moro, tuttavia il marito rimase molto colpito dalle abilità diplomatiche della moglie e dalla sua abilità nelle trattative.

Nella notte fra il 2 e il 3 gennaio 1497, Beatrice morì nel tentativo di dare alla luce il terzo figlio; si racconta che il Moro impazzì di dolore, tanto che rimase per settimane chiuso al buio nei suoi appartamenti. Si pentì sino alla fine dei suoi giorni per averla trascurata nei suoi ultimi mesi di vita, quel diamante prezioso che il fato gli aveva donato, e si dice che pregasse tutti i giorni affinché gli fosse concesso di rivedere Beatrice un’ultima volta, poiché la amava più della sua stessa vita.

Ludovico ci ha lasciato in eredità questo amore così struggente, ben impresso nel magnifico monumento funebre in marmo di Carrara che è possibile ammirare alla Certosa di Pavia; i due coniugi sono stati scolpiti l’uno accanto all’altra, come se fossero assopiti in un sonno profondo. Una promessa di devozione e amore eterno per Beatrice D’Este.

Celebrata nel XIX secolo come una sorta di eroina romantica, la figura di Beatrice subì un'eclissi nel corso del Novecento, schiacciata sotto il peso degli elogi tributati alla più longeva sorella Isabella. Sebbene un'analisi alquanto superficiale degli eventi storici abbia portato alcuni studiosi moderni a ritenere che Beatrice non avesse avuto alcun ruolo nella politica del ducato, o che addirittura non se ne fosse interessata, la quasi totalità degli storici precedenti concorda, invece, nel giudicarla la vera mente dietro molte azioni e decisioni del marito, sul quale esercitava una enorme influenza, a tal punto da legare la presenza di lei alla prosperità e all'integrità dell'intero Stato sforzesco.

“Beatrice aiutò di savissimi consigli il marito negli uffizi non pure di principe, ma di principe italiano; e tanto tempo prosperò quello stato, quanto una tal donna stette con Lodovico. Morta lei, la pubblica rovina non ebbe più ritegno.”


“E Moro e Sforza e Viscontei colubri, lei viva, formidabili saranno da l’iperboree nievi ai lidi rubri, da l’Indo ai monti ch’al tuo mar via danno: lei morta, andran col regno degl’Insubri, e con grave di tutta Italia danno, in servitute; e fia stimata, senza costei, ventura la somma prudenza.” - Ludovico Ariosto, Orlando Furioso, canto 13, ottava 63


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