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Immagine del redattoreManuel Gallace

La ricerca interiore di David Sylvian

Aggiornamento: 15 ago

Appena fresco di ristampa, l'album Manafon di David Sylvian uscito nel 2009, è uno di quelle opere che ha diviso fan e critica, dove molti rimasero estraniati dall'estremo cambio di rotta dell'artista altri lo apprezzarono cogliendo la particolarità di un opera cosi fuori dalle dinamiche di mercato.

Non si trovava più traccia delle contaminazioni world music del suo primo album solista Brillant trees (1984) impreziosito dalla tromba elettronica del maestro Jon Hassel, ben lontani dall'ambient intriso di spiritualità degli album in collaborazione con Holger Czukay dei Can, per non parlare del bellissimo Gone to Heart (1986) con Robert Fripp, dove le chitarre lo facevano da padrone, ed anche le stupende melodie pop jazz da camera del capolavoro Secret to Beehive (1987) erano bene lontane. In Manafon Sylvian, da sempre attento alle cultura e sperimentazioni musicali giapponesi, si avvicina al genere "onkyo" (riverbero del suono, la forma propria di Tokyo del riduzionismo berlinese, musica costruita sul silenzio invece che sul suono. Possiamo ritrovare molto dell'album nella musica di Tagu Sugimoto, sconosciuto nel mainstream occidentale ma leggenda nei circoli d'avanguardia in giappone.

Se c'è un tema che attraversa Manafon è semplicemente: Nessuna speranza, nessun dubbio. Cugino spirituale del precedente Blemish (2004), è un album oscuro, pieno di difficoltà emotive e musicali, suoni non lineari e musica improvvisata che esprimono una tensione tra la disperazione e l'amore della vita di tutti i giorni. Il titolo deriva dal nome del piccolo villaggio del Galles dove visse il poeta R.S Thomas, "musa dell'album" un uomo profondamente spirituale, solitario, nazionalista ed anglicano, famosissimo in patria ma quasi sconosciuto in Italia.

Uno dei temi centrali del poeta gallese è l'inafferrabilità di Dio, misurandone così non tanto la forza, ma la difficoltà dell'uomo di relazionarcisi.


Ogni notte è un risciacquo dell'oscurità che è nelle mie vene. Ho lasciato che le stelle mi iniettassero il fuoco, silenzioso, com'è lontano, ma certo nel cauterizzare la mia disperazione. Sono un viaggiatore lento, ma c'è più tempo per arrivare "

"Dio che è quella grande assenza nelle nostre vite, il vuoto silenzio interiore... il buio tra le stelle."

Da "il senso è nell'attesa" R.S. Thomas


Si potrebbe iniziare da qui per comprendere Manafon. David Sylvian ha svuotato la sua musica sempre di più da una prevedibile spina dorsale ritmica, e da chiare strutture armoniche negli anni e in ciò rifletteva una crisi spirituale di cui soffriva. Ha dichiarato: “Se partiamo dal brano Manafon stiamo guardando la descrizione di un uomo, un uomo di fede, che lotta con quella fede, che impone un ordine al mondo esterno nella speranza di trovarlo internamente. Un uomo che abbraccia la morale e i valori della sua fede e li vive, ma che lotta anche con il silenzio che brucia nel suo cuore e nella sua mente. Il silenzio di Dio. " E poi: “Mi piace lo stato di disperazione. La speranza tende davvero a intromettersi. Ti porta fuori dal presente verso un ideale. Vivere senza speranza ma senza perdere l'amore per la vita... mi sembra un ottimo punto di partenza". In Snow White in Appalachia canta: non c'è nessun creatore, solo inesauribile indifferenza, e c'è conforto in questo, così non ti senti spaventato. E nel commovente brano di apertura Small Metal Gods: Ho messo gli dei, in una borsa con chiusura lampo, li ho messi in un cassetto, hanno rifiutato le mie preghiere.

L'album tesse una rete di poesie appoggiate su una musica da camera acustica e dissonante, che inducono immagini avvolte in bellissime melodie che sono circondate da una foresta profonda e misteriosa, di strani strumenti e improvvisazioni libere, che crescono in modi inaspettato ma tuttavia concisi, come il sottobosco dove si annida il cervo sulla copertina del pittore giapponese Atsushi Fukui. La natura appare come un dipinto troppo saturo, un paesaggio surreale dell'immaginazione interiore, un luogo di solitudine e terreno inesplorato, di pericoli nascosti e sfaccettature inquietanti sconosciute della psiche umana. Sylvian trae molta attrazione dall'intransigenza tra cantante e contesto, tra la parte controllata del suo canto straordinario e l'indeterminatezza della rete strumentale che gira intorno alla sua voce. La libertà e l'indeterminatezza dell'improvvisazione hanno una direzione, possiamo sentirci a nostro agio in questo particolare mondo sonoro e accettarne la stranezza.

Sylvian Circondato dalla cremè dei musicisti d'avanguardia giapponese, il chitarrista Derek Bailey, fuoriclasse dell'improvvisazione alla chitarra, più un caposaldo dell'elettronica come l'austriaco Fennesz, ma nessuno di loro interferisce mai con la colonna portante del lavoro che è la sua voce. C'è spazio anche per una canzone ispirata alla poetessa americana Emily Dickinson, che intorno ai trent'anni scelse di ritirarsi totalmente dalla vita sociale, vivendo in gran parte nella camera della casa dei propri genitori, impreziosita dall'inquietante assolo di sax del virtuoso sassofonista Evan Parker.

Nella sua poesia "Poetry for Supper", R.S Thomas scrive di due poeti che discutono della loro arte nel chiasso rumoroso di un pub di campagna gallese, dove un poeta sostiene che il verso e la creatività sono processo naturale, per dispiegare le proprie emozioni e lasciarle cadere sulla pagina, mentre l'altro risponde che il verso dovrebbe essere seminato più lentamente e con attenzione, con una solida conoscenza del mestiere. Entrambi i metodi possono produrre un buon lavoro, e naturalmente David attinge ad entrambi gli elementi, accompagnato da un pensiero e una ricca esperienza di vita spirituale. In una lontana intervista a Roma gli venne chiesto se credesse in Dio, rispose: sono interessato a tutte le religioni, e per questo forse non credo totalmente in nessuna di esse. Ma in tempi più recenti quando gli venne chiesto se sente con l'età di trovarsi meglio nella propria pelle, David risponde ancora una volta con una citazione, questa volta da Ingmar Bergman: " Io stesso non mi sono mai sentito giovane, ma immaturo" e aggiunge, "sono più sicuro di me stesso ora, so cosa ho da offrire, la saggezza è difficile da conquistare". Di questa saggezza raggiunta, grazie ad un percorso in continua ricerca e crescita spirituale, abbiamo la prova con album con pochi eguali nella storia della musica, di cui proprio Manafon è l'ultima sublime testimonianza.


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