ALLA SCOPERTA DI SHIRLEY JACKSON: UNA SOTTOVALUTATA MAESTRA DEL TERRORE
- Tommaso Parente
- 4 apr
- Tempo di lettura: 5 min
Quando si pensa al genere letterario dell’orrore moderno il primo autore che ci viene in mente è ovviamente il grande Stephen King. Molti sono rimasti terrorizzati dalle sue opere come Carrie, Christine, Shining e Le Notti di Salem, specialmente per le iconiche rappresentazioni cinematografiche. Ma quello che molti non sanno, e che lo stesso King ha ammesso, è che la sua fonte di ispirazione proviene da una prolifica, ma meno conosciuta, scrittrice americana: Shirley Jackson. E noi di Radio nowhere siamo qui per farvela conoscere… e ricordare.
Stephen King nell’introduzione del suo romando “l’incendiaria” (1980) ricorda Shirley Jackson e la omaggia come sua musa ispiratrice. Questa scrittrice, come ci dice King, va elogiata per la sua particolare capacità di far sentire la sua voce, senza mai gridare, bensì bisbigliando. Questo a primo impatto, può sembrare un ossimoro; ma leggendo le sue opere si comprende perfettamente come con dei semplici “bisbigli”, cioè uno stile pulito ed elegante, la Jackson sia capace di insidiare nei nostri cuori i terrori più oscuri e profondi… senza che ce ne possiamo accorgere. Diciamo che il genere di Shirley Jackson non è proprio quello che si definirebbe “horror” vero e proprio. L’autrice, infatti, si inserisce nel filone della letteratura gotica del secondo ‘900. Il genere gotico era nato un secolo prima, con il romanticismo e autori come Mary Shelley, Bram Stoker e il maestro Edgar Allan Poe (ma sono solo alcuni dei nomi più famosi) avevano contribuito ad accrescere il fascino per questo tipo di opere dall’ ‘800 fino agli anni 50 del secolo scorso, quando visse la nostra Shirley Jackson. Ed infatti i temi sono più o meno gli stessi: ambientazioni cupe, ma non oscure, dove quando c’è luce si è al sicuro, il fascino per il macabro e lo scabroso, che però rimane sempre celato fra le ombre e personaggi che cercano di orientarsi in questa penombra. A differenza dell’horror, più esplicito, il gotico è qualcosa di più sottile, qualcosa che non lascia terrorizzati ma, piuttosto, turbati. E Shirley Jackson nei suoi libri riesce perfettamente in questo intento. Ma prima di addentrarci in questo mondo, è opportuno parlare per un momento della sua vita e di come proprio quest’ultima abbia influenzato ed ispirato le sue opere.
Shirley Jackson nacque a San Francisco nel 1916. Ci fu a lungo un equivoco per cui si pensava che fosse nata nel 1919, perché la stessa Shirley non voleva sembrare più vecchia di suo marito (del 1919 per l’appunto). La sua non è un’infanzia felice a causa del difficile rapporto con la madre, che la criticava sempre, addirittura si dice che l’avesse chiamata “aborto mancato”. Ma, nonostante ciò, fin da bambina si avvicinò all’arte e alla letteratura. Frequentò dal 1937 l’Università di Syracuse, dove studiò giornalismo e letteratura inglese. Si laureò nel 1940 in lingua inglese e sposò Stanley Edgar Hyman, famoso critico letterario di origine ebraica. Questo fu un matrimonio infelice, sia perché Shirley aveva sposato Hyman per andare contro sua madre, sia perché quest’ultimo era un maschilista e la tradì. Alla nascita del primo dei loro quattro figli, la coppia si trasferì nel villaggio di North Bennington dove Shirley voleva trasformare la sua casa in un vivace centro culturale. Ma oltre alla “gabbia” della madre e del marito, la coppia (in particolare Shirley che era una donna “colta”) era malvista dalla comunità della piccola città, e perciò la scrittrice californiana si sentiva letteralmente in trappola. Fu proprio nel periodo in cui visse a North Bennington che produsse la maggior parte delle sue opere, ispirate dai suoi molti tormenti. Ma purtroppo i dolori erano troppi, e cominciò a far uso di psicofarmaci per sopportare le sue crisi nervose, fino al punto che purtroppo nel 1965 morì, a soli 44 anni.
Per Shirley Jackson, quindi, la scrittura era un mezzo per cercare di evadere dalle sue prigioni, ma fu proprio grazie a quelle prigioni che noi conserviamo le sue opere più belle. Il suo è uno stile molto delicato. La scelta di ogni parola è ponderata, e dà un senso di leggerezza alla narrazione, ai personaggi e anche agli ambienti. Tutto risulta “luccicante”, come se si stesse leggendo un sogno e quasi ci si rilassa leggendo le sue parole. Ma si comprende che non è così, che c’è qualcosa di nascosto. Il sogno non è come si presenta, qualcosa nell’ombra ci aspetta e fin dalla prima pagina si aspetta che quel qualcosa esca fuori. Ma Shirley Jackson è astuta e ci tiene incollati alle pagine, aspettando che dall’oscurità esca questo essere indefinito, che solo alla fine si palesa lasciandoci a bocca aperta. È quello, ad esempio, che accade ne “L’incubo di Hill House”, dove un gruppo di improvvisati cercatori di fantasmi vive in una sinistra magione di inizio secolo, sperando di incontrare qualche spettro. Ogni personaggio lega con l’altro, condivide una parte della sua vita, ma la palpabile tensione che aumenta ad ogni pagina provoca i loro nervi, fino a farli esplodere. E quello spettro sarà un vero fantasma o è solo frutto delle mente dei personaggi… o del lettore stesso. Nei suoi libri si trova sempre quel senso di estraneità, come del resto si doveva sentire Shirley a North Bennington. La cittadina così ostile, infatti, le sarà di ispirazione per la creazione della sinistra comunità de “La lotteria”. Anche in quest’opera il confine fra sogno (anzi incubo) e realtà e poco delineato, e si assiste ad una climax dalla tranquillità fino all’isteria vera e propria. Se volete impazzire anche voi cari lettori, noi ve lo consigliamo. E nel suo ultimo romanzo Shirley Jackson unisce tutti questi temi in un’unica opera: “Abbiamo sempre vissuto nel castello” si apre con la narrazione in prima persona di Mary Catherine Blackwood, 18 anni, che si presenta, ci parla delle sue passioni (di cui alcune molto bizzarre), ci parla di sua sorella Constance con cui vive e poi conclude <<Gli altri della famiglia sono tutti morti>>. Un villaggio molto ostile alla famiglia di Mary Catherine, un misterioso pluri-omicidio rimasto irrisolto, due sorelle che vivono lontano da tutto e da tutti all’ombra della tetra e vuota magione della famiglia Blackwood. E non vi diciamo altro. È proprio in questi scenari lugubri e austeri, ma anche un po' fiabeschi che Shirley Jackson fa muovere le sue creature, e con il suo stile delicato instilla in noi lettori, fin da subito, il dubbio che la realtà non sia così come la percepiamo con i nostri occhi. E forse è proprio grazie al dubbio che la Jackson riesce nel suo intento di spaventarci. La sua penna gioca molto su quella paura che attanaglia l’uomo fin dall’antichità, ovvero la paura dell’ignoto, di ciò che non si conosce e che resta celato ai nostri occhi… ma non alla nostra mente, la quale crea nella sua ignoranza i più spaventosi scenari. Basterebbe soltanto accendere la luce, ma quell’interruttore è troppo lontano e lungo il percorso potrebbero esserci troppi mostri nascosti sotto al letto. E Shirley Jackson quei mostri li conosce tutti quanti.
La Jackson se ne andò da questo mondo troppo presto e con molti tormenti, ma rivive nelle molte opere che ci ha lasciato, un po' come gli spettri dei suoi racconti, li senti forte e chiaro, fin dentro la pelle… anche se bisbigliano soltanto.
E voi, cari lettori, conoscevate questa scrittrice? Fatecelo sapere nei commenti. Nel frattempo, noi di Radio Nowhere vi consigliamo alcuni titoli:
- “Abbiamo sempre vissuto nel castello”
- “L’incubo di Hill House”
- “Un giorno come un altro”
- “La lotteria”
- “Paranoia”
- “La strega”
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