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Back to Black & White… un salto nel B/N

Star del cinema muto, Francesca Bertini raccontava così a Gianluigi Rondi che scriveva sul Tempo di come era andata l'avventura di Assunta Spina, il film che la consacrò "diva immortale": "erano i tempi di D'Annunzio e io invece misi da parte tutta la cartapesta, e niente tende, niente velluti. Tutto dal vero e tutto controcorrente".

Un Autore anonimo scriveva in Lettere, Arti, Varietà nel 1916 in uno dei molti ritagli di giornale dell'epoca assemblati dalla Cineteca di Bologna in occasione della mostra I vestiti dei sogni (2015):

"Da Grado sono arrivate fotografie straordinarie di una folla che applaude frenetica un'immagine vaporosa di donna. Siccome la folla è composta soprattutto di giovani e la donna è Francesca Bertini, mi è venuta una gran curiosità di sapere che cosa abbia di speciale costei che è riuscita a mantenere intatto il mito di se stessa per tanti anni e a trasmetterlo integro a gente che quando lei smise di lavorare nel cinema, non era ancora nata.". E ancora scrivono di lei: "Nessun'altra artista potrebbe far vivere dinnanzi allo schermo cinematografico un tipo di donna così vario, così complesso, così difforme nei suoi mutevoli atteggiamenti dell'animo, come è riuscita ad incarnarlo Francesca Bertini".

C'è un mistero nascosto nelle pieghe della storia di Madame Bertini, che ha affascinato chiunque l'abbia contemplata da lontano ma anche chi l'ha conosciuta e frequentata. Sulla copertina di L’ultima diva, l'affettuosa biografia di Flaminia Marinaro, che la conobbe da bambina, c'è una di quelle foto: La Bertini vaporosa, gioielli, un grande cappello e sguardo incantatore.

Nelle pagine scorrono poi i capitoli della storia di Elena, figlia di Adelina, madre single, forse attrice di teatro, adottata dal trovarobe napoletano Arturo Viitiello. Elena rinascerà a seconda vita, battezzata Francesca dal grande Edoardo Scarpetta: "D'ora in poi ti chiamerai Francesca. Francesca Bertini. E FARAI L'ATTRICE. Gli attori io li riconosco a occhio!".

Francesca entrò dalla porta di servizio nel vivace ambiente teatrale napoletano quando era poco più di una bambina. Passò dalla stanza delle stiratrici al palcoscenico quando aveva appena 17 anni, nell'acclamata produzione del 1909 di Assunta Spina, intenso melodramma meridionale di Salvatore Di Giacomo che fu poi trasposto sullo schermo nel 1915.

"Era diventata la Bertini, la diva del cinema, vero e proprio modello di stile per le signore dell'alta società, con i suoi innovativi cappelli a falda larga", scrive Flaminia Marinaro in L'ultima Diva.

"Non era superbia la sua: la vita la stava trasformando in una creatura fantastica, con ali immense e leggere. L'Italia viveva nuovi giorni, c'era elettricità nell'aria. Si annunciavano imprese oltremare, si guardava alla Libia.

La Belle Epoque era al culmine del suo splendore e il Can Can trionfava ancora nei cabaret.

Ma a rispecchiare quei tempi sarebbe stata la giovane e potente arte del cinematografo! E questo le dava il diritto di non guardarsi indietro.".

Non lo fece mai. Nel 1915 era già stata scritturata in più di 50 pellicole e i suoi film si vedevano dall'Europa all'America Latina, dalla Russia agli Stati Uniti. Con il successo, arrivò la consapevolezza di doverlo amministrare e la certezza che la propria immagine fosse il tesoro più prezioso… C'è un delizioso video-documento Rai che la mostra nel 1982 ancora pienamente consapevole del suo statuto di diva, in occasione di una visita agli archivi del Centro sperimentale di cinematografia in cui si lamenta del fatto che i suoi film non vi siano, "maltratta'' un paziente impiegato e chiede di rifare la propria entrata in scena secondo suo gusto. Aveva 91 anni. Del resto fu lei la prima a scrivere di sé, ad amministrare la propria storia, a rivendere la propria leggenda. Un’autobiografia pubblicata a puntate nel 1938 in una rivista di cinema venne poi rivista e ampliata, e divenne un libro nel 1969, Il resto non conta. In quelle pagine, come nelle numerose interviste che rilasciò nel corso del tempo, rivendicò sempre per sé un ruolo creativo oltre che manageriale. L'enorme successo ottenuto dai suoi primi lungometraggi, Histoire d'un Pierrot (1914), Sangue blu (1914), Nelly la gigolette o La danzatrice della taverna nera (1915) e La signora delle camelie ( 1915), le garantì il potere negoziale che oggi avrebbero i tycoon e di cui lei saggiamente si servì per ottenere stipendi più elevati e margine di scelta sulle sceneggiature. Lasciando sempre spazio alla leggenda: nel 1917 escono tre film attribuiti a un certo Frank Bert, di cui si dice fosse un sostituto maschile della stessa Bertini, ma nessuno di questi film esiste più quindi è impossibile giudicare se le recensioni negative che hanno ricevuto fossero fondate.

L'immagine che Bertini ha sempre voluto veicolare è quella di una vita principesca, fatta di incontri memorabili e fermo-immagine destinati a restare nella storia. Nessuna prima di lei, nemmeno tra le grandi del muto, la cui gestualità non era certo minimalista, aveva studiato con tanta maestria pose e movimenti: scendere le scale, brandire la sigaretta fra le dita, impostare il profilo con ritratto, specchiarsi con voluttà. Alla fine della Prima Guerra Mondiale, Bertini era probabilmente la donna più potente del cinema sicuramente la più pagata, e il suo spirito autoritario, i suoi privilegi e capricci erano così noti che divennero oggetto di ironia. Nel cortometraggio Mariute (1918), Bertini interpretava un doppio ruolo, la contadina Mariute e se stessa: una star stravagante che dorme fino all'ora di pranzo ed è regolarmente in ritardo sul set. Nelle sue memorie, il collega Emilio Ghione, attore e regista che aveva lavorato con lei in più di un film, accusava gli stipendi scandalosi di Bertini e delle altre dive di aver provocato la prima grande crisi del cinema italiano, all'indomani del conflitto mondiale. Naturalmente le ragioni del disastro sono più complesse, ma quel j'accuse qualcosa -dello statuto raggiunto dall'attrice e della reazione a questo da parte del mondo maschile -lo racconta.

A guardare la sua filmografia ci si accorge che Bertini girava film al ritmo di quattro o cinque all'anno (il 1920 ne conta 10), spesso assistita dal fedele regista Roberto Roberti (pseudonimo di Vincenzo Leone). Il matrimonio con Alfred Paul Cartier, banchiere svizzero, e la nascita del figlio Jean nel 1921, rallentarono le sue apparizioni sullo schermo: in un'intervista tv degli anni Sessanta sosterrà: «Mio marito non ha voluto che io tornassi al cinematografo. A quell'epoca le mogli non si facevano lavorare». In realtà l'archivio del Museo Nazionale del cinema di Torino conserva una lettera che l'attrice scrisse nel 1935 ad Alberto Fassini, direttore della Cines, chiedendogli di aiutarla ad avere una parte e un prestito, confessando di aver passato un periodo difficile, e definendosi «ancora bella, ancora giovane». La voce non gradevole e uno stile di recitazione antiquato non facilitarono il suo passaggio al sonoro. Recitò ancora solo in un altro paio di film: La donna di una notte (1931) e Odette (1935), remake di un suo vecchio successo del muto diretto da Victorien Sardou, ma dovette accettare di essere doppiata da Giovanna Scotto. Sarà Bernardo Bertolucci, nel 1976, a renderle omaggio chiamandola per interpretare un cameo, suor Desolata, in Novecento, ultimo film dell'ultima diva.

«Mai sentita l’America» diceva, preferì seguire il nobile francese Cartier da cui ebbe un figlio, Jean Benedict. «Per me l’amore è più importante del successo, non ho nessun rimpianto. Viveva appartata e a suo dire felice in famiglia, alimentando per sottrazione il suo mito che per onda lunga arriva fino ai nostri giorni. Ogni volta che usciva dall’esilio familiare e si riaffacciava in società, i riflettori si riaccendevano. Nel 1976 partecipò a Bontà loro di Maurizio Costanzo, strapazzando gli ascolti, che da 6 milioni della prima puntata balzarono a quasi 13. L’ultima apparizione, prima della morte a Roma il 13 ottobre 1985, è stata al festival di San Sebastián, indossando una pelliccia bianca, abito lungo e gioielli. Forse finti, ma non importa. Una diva è immortale.


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