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Breve recensione di uno spettacolo immenso: Europeana. Breve storia del XX secolo.

Venerdì sera è accaduto che sono andata a teatro. Non sempre è facile concederselo, il teatro. Perché c’è un palco, e un corpo che lo riempie. Il teatro chiede silenzio, e presenza. Eppure ciò che mi è tornato indietro, venerdì sera, ha esaudito i desideri da spettatore.

Di che spettacolo si trattava? Europeana. Breve storia del XX secolo, tratto dall’omonimo romanzo di Patrik Ourednik. Un monologo letto e interpretato da Lino Guanciale, accompagnato dal fisarmonicista Marko Hatlak.

90 minuti di Storia. Un atto di coraggio. Perché Europeana è un grido ai grandi sbagli dell’essere umano, una risata sguaiata e disperata in faccia al consumismo, a suo fratello capitalismo, al self-made man, al sessismo, al razzismo, all’egoismo, alle uccisioni di massa che l’uomo ha pianificato, attuato, davanti alle quali non si è fermato, fino a distruggere e a distruggersi.

Guardavo il legno del palco, e mi rassicurava constatare quanto sia semplice costruire, a volte. Perché su quella ribalta Lino Guanciale aveva con sé solo un leggio, una marionetta, recitava mettendo nelle battute un po’ di sé e indossando venti magliette con le iconografie dei grandi simboli del Novecento (il volto di un maschio bianco con i baffetti vi ricorda qualcosa?), e nel frattempo trasportava. Trasportava con la voce, con le movenze, con un racconto tanto diretto quanto crudo, delirante e lucidissimo insieme, mentre Marko Hatlak lasciava parlare la sua fisarmonica, che non sapevo potesse contenere anche il suono di un sospiro, eppure lui, formidabile musicista, l’ha saputo insegnare a tutti quegli occhi sgranati e a quelle orecchie bene aperte che occupavano la sala.

Alle spalle dell’attore e dell’uomo di musica, una montagnola di stracci, forse a ricordare la Venere degli stracci di Michelangelo Pistoletto, un’installazione artistica che si burla del concetto di bellezza, nonché mostra, almeno in apparenza, il contrasto tra la perfezione del modello neoclassico e il disordine del contemporaneo. “In apparenza” perché, se si osserva meglio, la Venere non è realizzata in marmo, bensì con il più “umile” cemento ricoperto di mica. Come a dire che il disordine c’è sempre, che sia nell’antica Grecia o nel mondo industrializzato e tecnologico. Così come è onnipresente il rischio di voltare le spalle alla bellezza.

In platea, qualche pupazzo a forma di scimmia a occupare poche poltrone. Un suggerimento, forse: l’evoluzione di Darwin può essere riavvolta come un nastro, e riportare l’uomo allo stadio primitivo? In fondo, l’ambiente non deve salvare i piccoli errori umani nella riproduzione? E se fosse ora la natura a dire la sua, e a decidere di non salvare più niente e nessuno? Se non potessimo più evolverci, perché troppo impegnati a distruggerci?

D’altronde Europeana è anche un avvertimento, un mea culpa collettivo, una lista infinita di catastrofi umane, come i due sanguinosi conflitti mondiali, il disconoscimento dei diritti delle donne (anche oggi, nella parità di genere, si avanza lentamente, le vittorie sono ancora troppo piccole), la povertà (purtroppo nella società dei potenti chi troppo vuole, tutto stringe), la discriminazione e l’allontanamento per l’orientamento sessuale, la rivalità tra popoli. Non è sufficiente essere umani per comportarsi come tali.

Lo spettacolo di Europeana è anche una danza, un incontro di correnti di pensiero, di filosofie, un confronto che domanda il punto di arrivo contemporaneo, è il tempo che chiede il conto, un bilancio da cui se ne esce sconfitti.

In un monologo con ben poche pause, Lino Guanciale si lancia all’inseguimento dei nostri peccati, e rimane senza fiato. Per lo spavento, per la sorpresa. Perché gli sbagli che ha declamato a gran voce sono tanti, che quasi non ci si riesce a credere. Nella sala, c’è sbigottimento, sconcerto, c’è colpevolezza, c’è vergogna. Sembra aleggiare la domanda: “Ma com’è possibile, siamo stati proprio noi? In che senso? Per quale senso?”. L’unica risposta certa è che abbiamo scagliato la pietra, mostrato i denti, nascosto la mano. Ma il giudizio universale e naturale se n’è accorto, e non sta a guardare. Gli spettatori di Europeana ora lo sanno. C’è un mondo da salvare, lì fuori.

Chi guarda, si accorge. Chi si accorge, agisce.

Questo spettacolo teatrale sconvolge perché è essenziale. È la summa degli orrori, l’incipit di un nuovo tentativo, un’altra possibilità. L’ultima, probabilmente.

Voce, palco, musica, volti. Nulla di più, eppure tutto il necessario. L’arte e gli artisti insegnano ancora una volta la meraviglia della semplicità. Scavano, per cercare e trovare. Condividono. E si avvicinano alla salvezza.


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