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Immagine del redattoreStefano Benatti

CAPAREZZA NARRA I NOSTRI RITI DI PASSAGGIO

Aggiornamento: 16 ago

La recensione del concerto di Mantova.

Siamo attorno al 17 luglio 2004, giorno più, giorno meno. Come quasi ogni weekend, per il piccolo me è tempo di andare a pranzo dai nonni materni. Era diventata ormai una tradizione, un appuntamento imperdibile reso ancor più importante dal periodo dell’anno, perché nel giro di pochi giorni ricorrono i compleanni di mio padre, di mio zio e il mio.

Ricordo svariati regali accatastati sul tavolo al piano di sotto e in particolare un piccolo pacchetto dorato, con il mio nome scritto sopra. Lo scartai e ci trovai il CD di Verità supposte, di Caparezza. Era fresca nella memoria l’esibizione di Capa sul palco di Top of the Pops: la rotazione delle 50 canzoni più ascoltate nelle classifiche italiane, che andava in onda ogni settimana su Rai 2. Sulle note di Fuori dal Tunnel, persone con parrucche seguivano il ritmo ondeggiando la testa, mentre altre giacevano sul pavimento. Fu amore a prima vista, con quel singolo, con il successivo Vengo dalla luna e conseguentemente con il CD, consumato ma ancora fieramente in mostra nella mia vetrinetta 18 anni e due traslochi più tardi. Ammetto che, complice l’assenza di internet a casa – sapete com’è, la campagna – e complice MTV che mi indirizzò verso il punk – altri tempi decisamente – persi di vista Capa per un bel po’. A risvegliarmi dal torpore fu un pezzo che come un pugno nello stomaco ben si sposava con i miei gusti ormai metallosi, ovvero Argenti Vive. Recuperai così in fretta e furia tutta la discografia del fu Mikimix, riscoprendo sonorità e ricordi che da troppo tempo ignoravo inconsciamente, e vissi con hype le sue ultime due uscite, Prisoner 709 ed Exuvia.

Fast-forward a inizio 2021: “Ah, infatti mi pareva strano che Vengo dalla Luna fosse dei Maneskin, non è per niente il loro stile”. A parlare è R., la mia ragazza.

“Sai che Caparezza ha appena pubblicato un nuovo album? Aspetta che ti faccio ascoltare qualcosa…” risposi io attaccando la titletrack Exuvia sullo stereo dell’auto. Nel giro di poco tempo R. fa di Caparezza l’artista più ascoltato sul suo Spotify.

Da lì il passo è breve: click, click. Due biglietti per l’Exuvia Tour, inizialmente previsto a febbraio, ma spostato in estate per vari motivi.

Destinazione Mantova, la più comoda, la mia città.

C’è un motivo se Mantova è patrimonio dell’Unesco: basta parcheggiare al Campo Canoa e farsi a piedi il ponte di S. Giorgio per capirlo: il centro storico si materializza davanti agli occhi, quasi galleggiando sui 3 laghi che lo circondano.

Bazzichiamo attorno alla location del concerto, la suggestiva Piazza Sordello. A sorpresa, Capa è sul palco con la cantautrice messicana Mishel Domenssain, provando El Sendero e salutando i pochi curiosi che spiano da lontano.

Giusto il tempo di prendersi un gelato alla Loggetta (consigliatissimo) e ci mettiamo in coda all’ingresso della piazza. Riusciamo a piazzarci esattamente di fronte al palco, con 3 o 4 file di persone davanti a noi, vista impeccabile.


Con qualche minuto di ritardo, tra i boati del pubblico, si abbassano le luci ed entra il corpo di ballo sulle note di Canthology: vibes tribali/amazzoniche, bastoni con il logo dell’album in cima e infine lui, Capa, seduto su un “letto” di rami. Sul maxischermo che completa il set, Matthew Marcantonio – voce dei Demob Happy – canta il ritornello di quello che nei fatti è il brano migliore per aprire la setlist, essendo stracolmo di citazioni a tutti i lavori precedenti di Caparezza.

La serata verte sul tema dei “riti di passaggio”: come nelle tribù indigene i ragazzi sono sottoposti a prove fisiche estenuanti per dimostrare di essere pronti all’età adulta, gli artisti passano per momenti che li segnano profondamente e che possono arricchirne o affossarne la carriera. Per sottolineare queste fasi di down creativo, Caparezza prima si trasforma in lumaca con uno degli innumerevoli costumi di scena e si muove lentamente sulle note di Fugadà, inseguito da una gigantesca mano. Poi presenta un suo “amico”, Larsen, una specie di uomo picchio che non si fa scrupoli a seguirlo ovunque, metafora dell’acufene che ormai da anni affligge il cantautore pugliese e che viene ben descritto nell’omonima canzone tratta da Prisoner 709 (“Uno squillo ossessivo, come un pugno sul clacson, primo pensiero al mattino, l’ultimo prima di buttarmi giù dal terrazzo/Se arriva Larsen te lo devi tenere”).

Si torna poi all’ultima fatica discografica e nello specifico a una delle canzoni più catchy e radio-friendly del repertorio: Campione dei Novanta, ovvero il racconto di come Mikimix – un progetto dettato più dai produttori discografici che dal cuore – si sia idealmente aggiunto al “Club 27”. Perché nel 2000 Michele Salvemini ha già 27 anni ed è proprio lì, con la morte dei Novanta, che fa tabula rasa (attorno a sé) e il pieno di capelli (prima rasati), dando vita a Caparezza: a ricordarcelo, l’enorme musicassetta trasformata in ghigliottina.

Neanche il tempo di tirare il fiato ed ecco che arriva da dietro le quinte l’oggetto di scena più grande e impressionante di tutti: un drago che ondeggia sul palco sulle note di Contronatura, decisamente la canzone più sperimentale del già non banale ultimo album.

È arrivato ora il momento di un tuffo nel passato: vestiti i panni (stavolta solo figurativamente) di professore di storia, Caparezza spiega – con enfasi degna del miglior Barbero – l’origine del quadro La ragazza del bosco, datato 1882. Il bosco – autentico fil-rouge dell’intera serata e non a caso luogo di innumerevoli riti di passaggio – è da sempre fonte di ispirazione per gli artisti. Proprio all’autore del quadro è dedicata la successiva canzone in scaletta: si torna indietro all’album Museica, la traccia è Mica Van Gogh, una presa in giro di un’irriverenza spietata, contro l’uomo medio che spreca la sua vita dietro a piccolezze e piaceri moderni accusando Van Gogh di essere pazzo, quando forse il pazzo è lui in primis.

La parte centrale dello spettacolo è un continuo susseguirsi di trasformazioni, sia dal punto di vista sonoro che visivo: si va dal palco illuminato di rosso e le maschere di Eyes Wide Shut alla semplice sedia che fa da accompagnamento alla distorta La certa (ultimo singolo lanciato nelle radio), passando per la semplice Una Chiave, i gonfiabili de Il mondo dopo Lewis Carroll, un bel throwback a Goodbye Malinconia e la ballad China Town, con tanto di calamaio gigante che contiene una performer di nero vestita a rappresentare l’inchiostro (l’inchiostro scorre al posto del sangue).

È tempo di featuring dal vivo ed è il momento di Mishel Domenssain: accolta tra gli applausi, se ne va con un’autentica ovazione dopo El Sendero, altro brano fortemente incentrato sui temi del tempo che passa e della ricerca di se stessi (vado incontro alla mia libertà por el sendero del dolor y l’alegria).

C’è spazio anche per la hit Come Pripyat, ennesima perla di Exuvia, in cui la coreografia statica ricalca il video uscito a inizio anno.

Stacco teatrale: Capa racconta, ben coadiuvato dal corpo di ballo, la storia dell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, metafora della cecità della fede religiosa e in se stessi che – come portò alla follia il protagonista del poema cinquecentesco – sta esacerbando il dibattito pubblico e la società odierna.

L’Orlando Furioso è anche un pretesto per il più semplice dei ganci: nel poema, a salvare Orlando è Astolfo che, a cavallo di un ippogrifo, recupera il senno del protagonista sulla luna. Ovviamente sul palco l’ippogrifo c’è – cavalcato dall’onnipresente Diego Perrone – e scatena quella che è e sempre resterà la canzone di Capa che più porto nel cuore: Vengo dalla Luna. Anno 2003, album Verità supposte, capolavoro senza tempo.

Abiura di me e Zeit! completano un trittico di brani ad alta tensione e dall’atmosfera metal, talmente metal che la gente inizia a pogare! R. e io, insieme ad altra gente che non vuole coprirsi di lividi, ci ritroviamo schiacciati tra due circle-pit che non avrebbero sfigurato a un concerto dei Pantera o degli Slipknot. Rimescolati ma illesi e sempre più o meno nello stesso posto, ci godiamo gli ultimi pezzi in scaletta: le ben più tranquille La Scelta, Ti fa stare bene e, durante l’Encore, la titletrack Exuvia e le immortali Vieni a ballare in Puglia e Fuori dal tunnel.

È da poco passata la mezzanotte quando l’orda di fan, ringraziate tutte le persone coinvolte in questo spettacolo, si incammina stanca per le vie di Mantova e giunge finalmente a casa. Caparezza non fa semplici concerti ma racconta storie. Lo fa con semplicità disarmante, la stessa che caratterizza i suoi testi, incredibilmente complessi e studiati eppure così diretti. La stessa che gli permette di svariare dal pop al rap al metal senza che il discorso perda il suo filo, senza che nulla distragga l’ascoltatore dal messaggio di fondo. Se il fitto bosco di Exuvia è stato per Caparezza un rito di passaggio, sono sicuro che chiunque s’imbatta in lui possa trovare, nelle sue canzoni fitte di significato, motivo di migliorarsi, acculturarsi e affacciarsi ad orizzonti che prima non vedeva.


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