La storia dei Deep Purple e dei suoi componenti è piuttosto intricata come accade per la maggior parte delle poche band con una carriera così lunga.
L'avventura dei nostri inizia addirittura nel lontano 1968 e, nel giro di un anno e mezzo, questa prima incarnazione, più progressive rispetto ai Deep Purple che avremmo conosciuto in seguito, sforna tre album in cui buona parte del materiale consiste in cover, di cui una in particolare riscuote un gran successo e ancora oggi persiste nella setlist dei concerti: Hush. Quella degli esordi è una band che sfodera tre virtuosi del proprio strumento: Ritchie Blackmore alla chitarra, Jon Lord all'hammond e Ian Paice alla batteria. Blackmore è un chitarrista molto hendrixiano, Lord è un pianista di formazione classica e Paice un batterista funambolico e imprevedibile con un riconoscibile tocco jazzato. I primi lavori fanno intravedere la grande alchimia tra i musicisti ma i Deep Purple degli inizi non hanno in testa una direzione musicale precisa. Nel 1969 in luogo degli altri due componenti Nick Simper e Rod Evans, vengono assunti il virtuoso cantante Ian Gillan con una capacità incredibile di raggiungere note alte e una fluidità disarmante nel passare dal cantato melodico al falsetto e il bassista Roger Glover; quest'ultimo un musicista normale tra quattro virtuosi ma con una grande solidità nella ritmica e con all'attivo un importante apporto in fase di composizione di musiche e testi delle canzoni. Nel 1969 alla Royal Albert Hall di Londra i cinque si esibiscono nel Concerto per gruppo e orchestra scritto da Jon Lord; si tratta di un concerto classico in tre atti (per la quasi totalità strumentale) in cui l'orchestra a volte si scontra e a volte si incontra col gruppo rock. A quel punto decidono di seguire la strada tracciata dai Led Zeppelin e abbracciare l'hard rock. Rispetto alla musica di Plant e compagni degli inizi che era però basata su una forte impronta hard blues, i Purple attingono da una mescolanza anche di altri generi quali la musica classica e il rock'n roll anni '50. Attribuiscono inoltre alle tastiere, che in quel periodo (Doors a parte) erano per lo più bistrattate e di mero accompagnamento, un ruolo centrale nel proprio sound. E così questa seconda incarnazione dei Deep Purple sforna In Rock a cui segue il sottovalutato Fireball, Machine Head e per finire Who Do We Think We Are. E questa è una carrellata solo degli album in studio perché ci sarebbe da aggiungere anche il live Made in Japan da molti considerato come l'album dal vivo più significativo della storia del rock. I live pubblicati nel tempo poi si sono succeduti a decine documentando i concerti dagli inizi ai giorni nostri e credo che la dimensione live sia quella che meglio rappresenti l'anima dei Deep Purple laddove sono più liberi di improvvisare, di dilatare gli assoli o, nel caso di Gillan, di urlare. Nel 1973 con l'uscita dalla band di quest'ultimo e il licenziamento di Glover termina (momentaneamente) la seconda incarnazione della band e con le successive due i Deep Purple svoltano su un sound più orientato all'hard blues e al funky. Nel frattempo i fans hanno iniziato a chiamare queste formazioni dei Deep Purple, Mark 1, 2, ecc. La celebre Mark 2 in seguito sarebbe tornata in altre due occasioni tra il 1984 e il 1988 e nel 1993. Il 1993 è un anno chiave per la band in quanto l'abbandono di Blackmore lascia gli altri componenti al difficile compito di trovare un sostituto. La figura viene poi individuata in Steve Morse che sarà un componente dei Deep Purple dal 1994 fino al 2022. A inizio anni 2000 un altro pezzo da 90 abbandona la band hard rock: Jon Lord decide di dedicarsi ai propri progetti solisti, spesso incentrati sul tentativo di fusione tra rock e classica. A rimpiazzarlo Don Airey, fino ad allora noto soprattutto come session man con un curriculum di grande prestigio, ma che trova nei Deep Purple finalmente una casa in cui mettere radici essendo ormai ininterrottamente nella band da oltre 20 anni. L'ultimo cambio di formazione risale a due anni fa quando Simon McBride (in precedenza nella Don Airey Band) prende, prima temporaneamente e in seguito definitivamente, il posto di Steve Morse alla prese con la moglie gravemente malata. Così arriviamo alla Mark 9 che lo scorso luglio ha dato alla luce il suo primo album: il disco, intitolato =1, colpisce per una freschezza che non ti aspetteresti da musicisti (McBride a parte) alle soglie degli 80 anni. Ma forse sbaglio io a essere sorpreso perché la longevità dei Deep Purple agli anni e ai cambi di formazione è dovuta al fatto che a ogni nuovo componente viene chiesto di essere se stesso e di dare la propria impronta al suono della band e non di scimmiottare il proprio predecessore. E così McBride, che già nei live dei due anni precedenti alla pubblicazione del disco aveva convinto la maggior parte dei fans col proprio suono e le interpretazioni dei classici, anche quando si tratta di comporre nuova musica colpisce positivamente. I riscontri di pubblico e critica dell'album sono ottimi e i concerti del 1 More Time tour sono quasi tutti sold out e soddisfacenti con 4 o 5 pezzi nuovi inseriti ogni sera nella scaletta. E così questi anziani signori a oltre 55 anni dalla nascita della band, alla nona formazione che ha visto avvicendarsi 14 diversi musicisti (15 se contiamo anche Joe Satriani che ha sostituito Blackmore in tour tra la fine del 1993 e l'inizio del 1994) con solo Ian Paice sempre presente, continuano a divertire un pubblico storico e ad attrarre nuove generazioni di fans. Certo, alcune canzoni come Child in Time o Speed King sono uscite da anni dalle setlist dei concerti perché troppo complicate da eseguire, certo nei nuovi album non troverete la nuova Highway Star; siccome però la nuova Highway Star da 50 anni a questa parte non la si trova nemmeno negli album degli altri, il mio consiglio è ascoltare =1 e godersi queste tracce piene di autocitazioni ma fresche e piacevoli che portano avanti questa idea di musica che sono i Deep Purple che sopravvive indomita a ogni cambio di formazione.
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