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Kalokagathìa portami via: il lato oscuro degli eroi in The Boys

Un tempo c’erano gli eroi: belli, ricchi di virtù e armonia.

Poi la società si è lentamente incistata nel ritratto dell’eroe: dal coloratissimo Batman di Adam West con la giusta dose di trash involontario si è passati al cupo giustiziere immerso in atmosfere goth grazie a Tim Burton per passare ai famosi “supereroi con superproblemi”, primo fra tutti il nostro amichevole Spiderman di quartiere che si doveva districare tra rapine in banca e affitti da pagare.

E alla fine arriva The Boys.

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Nella fortunata serie tv di Eric Kripke tratta dal fumetto di Garth Ennis e Darick Robertson (la cui ultima stagione è in uscita per aprile 2026) non esiste né tetra giustizia né bollette inevase; gli eroi sono un business, un esercito di mestieranti con superpoteri alle dipendenze di una multinazionale che svetta sulla terra sventurata che ha bisogno di loro.

Innumerevoli luci della ribalta svettano su coloro che per amor di fatturato aleggiano tra il divino e il turpe, tra influencing e scandali da coprire, come nel migliore (o peggiore) showbiz.

Da grandi poteri non derivano più grandi responsabilità, ma grandi occasioni per sfoggiare forza bruta con un sorriso a favore di camera, mescolando brama di potere con il più becero chiacchiericcio da salotto TV.

Dopo un fatto di sangue che lo coinvolge personalmente, il giovane Hughie (interpretato da un fenomenale Dennis Quaid) è deciso a squarciare il velo di Maya sull’ipocrita sceneggiata che lo circonda: gli eroi non sono più.

Al loro posto squallide maestranze dai mirabolanti poteri, che pensano di poter agire indisturbati per via della loro aura inscalfibile e che troppe volte causano più danni che benefici, inebriati dalla fama (e a volte di altre sostanze).

A capo di questo manipolo il famigerato “Patriota” (incredibile Antony Starr), una versione aberrante di Superman abietta e al tempo stesso tormentata, frutto dei suoi fantasmi e invincibile nella sua malvagità, il suo sguardo nella serie sembra creato ad arte per metterti nel disagio più puro.

In suo aiuto corrono i famigerati “The Boys” del titolo, un gruppo di combattenti privi di poteri che desiderano in ogni modo sconfiggere di poteri (e potere) ne ha fin troppi.

Filtri torbidi che si sovrappongono ai lustrini dell’immagine fiera del supereroe trasmessa in ogni canale, vicende raccapriccianti guidate dalla perversione, violenza che trasuda da ogni scena.

Ma con una certa dose di follia renderizzata.

Quegli eroi che tanto ci fanno inorridire non sono altro che la cartina di Tornasole di una collettività che li ha scelti come numi tutelari.

Tutto il potere descritto dalla serie è scandito sempre dal consenso: un numero di like su un post, le visualizzazioni di uno spot pubblicitario, un’ovazione inaspettata quando un eroe si macchia di azioni inenarrabili.

E la politica sempre a vorticare in un’atmosfera che ad ogni episodio si fa sempre più surreale: dagli intrighi della CIA in piena Guerra Fredda alle discriminazioni razziali, dalla corsa alla Presidenza degli Stati Uniti d’America alle più disparate teorie del complotto e relativi seguaci.


“Uno scopo, vendo uno scopo. Queste persone non hanno nulla. Magari hanno perso un lavoro, una casa o un figlio per l’ossicodone. I politici se ne fregano, i media dicono loro di vergognarsi del colore della loro pelle. Io li unisco, racconto una storia, do loro uno scopo. Preferiresti credere di appartenere a una comunità che combatte un male segreto, o essere una nullità sola di cui nessuno avrà mai più memoria?”

 

 

 

 

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