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Immagine del redattoreGiulia Celegon

La Casa di Carta: la simbologia della maschera di Dalí

Aggiornamento: 15 ago

Vero, forse è un po’ tardi per parlare di La Casa di Carta, la serie televisiva spagnola ideata da Álex Pina nel 2017, e terminata con 5 stagioni dopo aver riscosso un successo mondiale (giusto in questi giorni i social, account Netflix compreso, hanno ricordato che è trascorso un anno dall’ultima première della serie).

Per i pochi che non la conoscessero, la serie tv narra la storia di una banda di ladri che, coordinati dalla mente geniale del cosiddetto Professore, assaltano la Zecca di Spagna per stampare milioni di euro e fuggire poi con il bottino.

Non è mia intenzione annoiarvi con una boriosa recensione sui motivi per cui amarla o odiarla (sì, è una serie furbetta perché sfrutta tutti i meccanismi per tenere lo spettatore incollato allo schermo, e no, non è qualitativamente geniale o inattaccabile. Ma tanto so che abbiamo tutti, nessuno escluso, urlato “Per Nairobi!” e desiderato indossare una tuta rossa con una maschera di Dalí sul volto, via verso la conquista della ricchezza più sfrenata e di una famiglia alternativa con cui cantare Bella ciao o Centro di gravità permanente… a buon intenditor, poche parole.

Oggi l’obiettivo è rispondere a questa domanda: perché i creatori hanno scelto proprio la maschera con i baffi del pittore Salvador Dalí? Vi siete mai chiesti quanti significati possa avere e assumere la ragione di tale travestimento?

Infatti a incuriosire non è solo il motivo per cui una serie televisiva spagnola abbia riscosso così tanto consenso dopo anni di grandi successi solo statunitensi, ma soprattutto il fenomeno della maschera di Dalí, che è ormai impossibile non associare a La Casa di Carta e non riconoscere in qualche corteo di protesta: un simbolo che, seppur nato per la finzione televisiva, si appella a un’ideologia più profonda di un mero intento commerciale, costituendo il vero fulcro e punto di forza di una serie televisiva che è ormai divenuta un fenomeno mediatico.


La maschera di Dalí come dichiarazione poetica

“Mi chiamo Salvador Martín” bofonchia il Professore davanti a Raquel Murillo affinché ella smetta di perquisirlo perché sospettosa delle sue insistenti domande sull’indagine che sta seguendo: il capo della banda di sequestratori si difende così dalle accuse del capo della polizia, dietro ad una falsa identità che è in realtà una confessione.

Si tratta di un nome tanto ridicolo quanto importante, poiché se da una parte è capace di smascherare le forzature della trama seriale non indifferenti (perché scegliere un nome così altisonante per proteggere la verità?), dall’altra è un’ulteriore dichiarazione di appartenenza al gruppo che sta compiendo la rapina alla Zecca di Stato e le cui maschere diventano un simbolo riconoscibilissimo e provocatorio.

Se uno dei maggiori difetti di La Casa di Carta è quello di essere spesso surreale, non si può negare che essa contenga anche una componente surrealista intesa come espressione artistica, e ne è proprio un chiaro indicatore il volto del pittore disegnato sulla maschera che la banda assoldata dallo enigmatico Professore indossa: si tratta di Salvador Dalí, pittore e illustratore di origine spagnola, considerato il maggior rappresentante del Surrealismo veristico.

Dalí, che durante la sua carriera artistica ha dimostrato un’incredibile poliedricità stilistica e formale, realizzò moltissimi lavori raffiguranti immagini “simboliche”, ovvero capaci di riconnettersi ad un significato altro rispetto alla loro pura forma estetica: La Casa di Carta tenta lo stesso procedimento non solo mediante la maschera di Dalí stessa, ma anche attraverso, per esempio, l’origami a forma di gru che il personaggio del Professore realizza; esso, nella tradizione e leggenda orientale, rappresenta la storia di una bambina che, malata poiché colpita dalla bomba atomica su Hiroshima, viene esortata da un’amica a trascorrere il tempo in ospedale realizzando tale creazione di carta perché, se fosse riuscita a crearne mille, avrebbe potuto esprimere un desiderio.

Vi ricorda qualcosa? Certo, il passato turbolento e difficile del Professore stesso, ma se ci pensate risulta ancora più interessante associare la figura dell’origami a forma di gru al significato ideologico che egli attribuisce al piano per l’assalto alla Zecca di Stato, che egli intende sfruttare per creare soldi senza mietere vittime: l’intento idealistico del capo della banda prevede infatti la fabbricazione di banconote senza che ci siano conseguenze fisiche per gli ostaggi, costretti ad assistere all’evento e a divenirne complici, ma si tratta di un’illusoria consolazione pacifista che verrà contraddetta solo poco tempo dopo l’inizio del piano (ma meglio non spoilerare troppo).

Curiosamente, Dalí stesso, nel corso della sua esistenza, fu protagonista di episodi macabri che lo legano alla figura di un potenziale assassino e criminale (si dice che avesse gettato un bambino giù da un ponte e lo avesse poi guardato sanguinare), ma ciò rende il suo genio e la sua persona ancora più affascinanti, perché la stravaganza e la stranezza non permettono di prevedere conclusioni logiche, e perciò inducono a concentrare l’interesse verso il soggetto fino alla fine, rassicurati dalla promessa di essere stupiti: uno dei punti di forza di La Casa di Carta è che i suoi Dalí agiscono seguendo un piano perfettamente congegnato che tuttavia rischia continuamente di andare in frantumi, proprio per la loro psicolabilità che seduce e ammalia, garantendo così continui colpi di scena (e talvolta di pistola).


La maschera di Dalí come dichiarazione politica


Gli antieroi di La Casa di Carta indossano maschere di Dalí e pretendono giustizia sociale, il sovvertimento dei ruoli di una società capitalista in cui la ricchezza rimane tra le mani di pochi, ovvero di coloro che si trovano in cima, al vertice della piramide del guadagno. Ci si dimentica che a pretendere il risarcimento siano assassini, ladri o drogati che imbracciano fucili poiché la maschera con incisi i baffi del pittore spagnolo declama rabbia e frustrazione nei confronti di una società che nella realtà punisce coloro che sono veramente deboli, emarginati e spesso innocenti.

La maschera di Dalí è indossata da coloro che tradizionalmente sarebbero i cattivi, ma allo stesso modo permette loro di nascondere il volto, diventando altro rispetto a ciò che sono stati: gli spettatori della serie televisiva non ricordano i peccati commessi dai protagonisti prima che entrassero a far parte della banda, o meglio, preferiscono redimerli in funzione di ciò che stanno per fare, poiché si tratta di una battaglia in cui si combatte contro un nemico molto più oscuro e opprimente, il governo, che è capace di schiacciare chiunque.

“[…] Ti hanno insegnato a distinguere il bene dal male. Ma se quello che stiamo facendo noi lo fanno altri, ti sembra giusto. Nel 2011 la Banca Centrale Europea ha creato dal nulla 171 mila milioni di euro. […] Sai dove sono finiti tutti? Alle banche. Direttamente dalla Zecca ai più ricchi. […] Iniezione di liquidità l’hanno chiamata […] cos’è questa? Non è niente, Raquel, è carta” declama il Professore: è un’affermazione scaltra, e sì, pecca un po’ di retorica, poiché rischia di far vacillare l’intero impianto costitutivo della serie, sia perché in economia non è possibile stampare banconote senza che esse non determinino conseguenze nel mondo della finanza, sia perché i ladri che le stanno fabbricando non hanno intenzione di utilizzarle per salvare il mondo, ma per meri obiettivi individuali.

Quindi perché la maschera di Dalí continua a piacerci così tanto? Perché la serie televisiva proietta un messaggio che, seppur politico, diviene anche ideologico nel momento in cui i rapinatori decidono di porsi in difesa e in rappresentanza degli ultimi, di coloro le cui voci e proteste sono solitamente represse dai poteri forti.

Ne è un esempio il fatto che vengano rappresentati questioni come la misoginia o la maternità: la serie mette in mostra un tema molto dibattuto nella società contemporanea, ovvero la posizione della donna e i compromessi a cui essa deve sottostare per garantirsi un ruolo, anche marginale, in un mondo minacciosamente maschilista.

L’elemento femminista traspare da numerosi dialoghi e caratterizzazioni dei personaggi, per esempio Raquel Murillo (l’ispettrice capo della polizia incaricata di liberare gli ostaggi dalla Zecca di Stato e catturare gli attentatori), che nelle prime due stagioni sarà spesso vittima di insinuazioni offensive da parte dei suoi colleghi perché accusata di non essere capace di svolgere il suo lavoro, in quanto appartenente al sesso debole: accusata dal capo dei servizi segreti di non star passando il suo miglior momento con un tono che sottintende il fatto che la donna, per la sua stessa natura, sia spesso vittima di imprevedibili quanto deleteri sbalzi ormonali, Raquel Murillo risponde con: “Se si riferisce alle mestruazioni, non le ho adesso, ma grazie per il pensiero”.

I personaggi femminili di La Casa di Carta raffigurano donne pronte a rischiare pur di parlare e agire, la loro personalità è prorompente e ben delineata, ciò che le accomuna è il coraggio (spesso tradotto in sconsideratezza nel caso della persona di Tokyo), e il fatto di saper reagire agli ostacoli e alle provocazioni con determinazione e carattere.

Le donne di La Casa di Carta non sono solo mogli, madri o fidanzate, ma soprattutto persone intelligenti e intrepide, capaci di lottare per un ideale che non deve essere necessariamente l’amore per un uomo.

La maschera di Dalí piace perché coloro che si impegnano di più per l’avveramento di un maggiore egualitarismo sociale sono quelli il cui bisogno è volentieri ignorato (non è un caso che i rapinatori indossino tute rosse simili a quelle della classe operaia).

Netflix ha saputo individuare tale potenziale, e già la terza stagione da esso prodotta demarca una chiara indicazione sulla valenza ideologica che si vuole attribuire al prodotto televisivo: “[…] Questa maschera è diventata un simbolo. In tutto il mondo. Della resistenza, dell’indignazione, dello scetticismo, è lo stesso. Quello che voglio dire è che abbiamo ispirato tanta gente nelle sue lotte. E ognuna di queste persone ora è una di noi [...]” ricorda il Professore mentre istruisce i membri della banda sul loro prossimo colpo. La terza stagione raccoglie l’eredità potenzialmente vincente delle stagioni precedenti e la rafforza sviluppandola: la struttura seriale, e i tempi di produzione televisivi, permettono ai produttori della serie di inserire vere immagini di dimostrazioni pubbliche di protesta i cui manifestanti indossano le maschere di Dalí (bel colpo Netflix!).


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