Magic and Loss di Lou Reed: quando il rock'n roll parla di morte e dolore
- Raffo Ferraro
- 21 ore fa
- Tempo di lettura: 6 min
There's a bit of magic in everything
And then some loss to even things out
Quando, nel gennaio del 1992, l'album Magic and Loss viene pubblicato, la carriera di Lou Reed sta vivendo una seconda (o terza) giovinezza. Prima gli inizi coi Velvet Underground così innovativi, rumorosi, ripetitivi, seminali che però commercialmente erano stati disastrosi e sarebbero stati rivalutati solo diversi anni dopo lo scioglimento. In seguito un primo album solista trascurabile seguito però da quel Transformer che si sarebbe rivelato un successo mondiale. Come noto il merito è di un David Bowie all'epoca in forte ascesa che, da grande fan dei Velvet, si offrì di produrlo assieme a Mick Ronson (che avrebbe finito in realtà per sobbarcarsi buona parte del lavoro).

Con una mossa tipica della complessa personalità di Reed, tuttavia, lo stesso, anziché cavalcare il successo del precedente lavoro glam, decide di virare su un concept album dai temi e dalle sonorità decisamente più oscure col successivo Berlin. Il disco viene stroncato dalla maggior parte della critica e sarà oggetto di rivalutazione solo molto più tardi entrando nell'olimpo dei migliori lavori della carriera del rocker newyorkese che si toglierà lo sfizio, tra il 2006 e il 2007, di portarlo in tour mondiale nella sua interezza. Il desiderio di non essere mai scontato e ripetitivo porta in seguito Reed a cambiare approccio e band a ogni album con dischi più convenzionali e altri al limite dell'ascoltabile (Metal Machine Music). Nel 1982 Reed torna a imbracciare la chitarra nell'eccellente album The Blue Mask in cui duetta con l'ottimo Robert Quine, poi la qualità dei dischi inizia gradualmente a declinare coi lavori successivi fino a toccare il picco più basso con Mistrial del 1986.
A quel punto iniziano a spuntare le band grunge che rimettono il rock al centro delle classifiche dando così la possibilità di riemergere anche ai rocker degli anni '60 e '70 che si liberano finalmente di batterie elettroniche, tastiere plasticate e coretti di background vocals, tornando alle origini. Reed rimette in piedi una band essenziale composta da due chitarre, basso e batteria e sforna un capolavoro dal titolo New York, album in cui torna a essere fondamentale l'interplay tra le chitarre e in cui spiccano i testi a cui ha dedicato una cura maniacale lavorando per svariati mesi al miglioramento di ritmica e rimica. In questo periodo Reed ha anche modo di incontrare il vecchio compagno di band e amico John Cale a cui rivela un progetto che consiste nel mettere in musica la vita di Andy Warhol, deceduto nel 1987 a causa di complicazioni sopravvenute durante un intervento chirurgico. I due finiscono per lavorare insieme al disco che viene pubblicato nel 1990 col titolo Songs for Drella. Si tratta, a mio avviso, di un altro picco della discografia di Reed in cui la vita dell'artista Pop Art per eccellenza viene raccontata talvolta in prima persona e talvolta da un narratore esterno avvalendosi solamente di tre strumenti musicali: la chitarra, il piano e la viola.
Accantonata questa parentesi (che però di lì a poco avrebbe portato a una breve reunion dei Velvet Underground), Lou Reed torna alla formazione con le due chitarre, il basso e la batteria per il successivo lavoro che sarà, ancora una volta, un concept album. Il tema che ispira l'opera è la morte per cancro di due amici di Reed, il songwriter Doc Pomus e "Rotten Rita" che era una presenza fissa alla Factory di Warhol negli anni '60. Mi riferisco a Magic and Loss che porta in musica la morte, il dolore, l'agonia, la speranza e la rassegnazione sia dal punto di vista del malato che dei suoi cari. Le canzoni hanno una doppia titolazione a partire dal brano d'apertura Dorita - The Spirit, un breve strumentale che funge da introduzione all'opera. La successiva What's Good - The Thesis è un pezzo in cui il narratore fatica a trovare un senso alla vita di fronte alla morte ma che, grazie a una musica che si contrappone alle parole per la sua spensieratezza e l'allegria, porta il singolo al numero 1 della classifica di Billboard relativa alle Modern Rock Tracks; in Italia la canzone è stata utilizzata a lungo come sigla introduttiva dei film in seconda serata da parte di un'emittente televisiva. L'impressione è che, come ai tempi del successo di Walk on the Wild Side, trasmessa a tutto spiano dalle radio per lo più ignare che quel "givin' head" nel testo fosse un termine in slang per definire una fellatio, anche in questo caso la melodia accattivante abbia distolto l'attenzione di più di qualcuno dalle parole, pur decantate ben udibili in primo piano nel mixaggio quali ad esempio "la vita è come il sanscrito letto a un pony, ti vedo nella mia mente mentre ti strozzi con la lingua" o l'amara conclusione in cui Reed dopo aver ripetuto più volte che la vita è bella chiude il pezzo con un perentorio "ma per niente giusta". Segue quindi Power and Glory nella sua prima incarnazione The Situation; la canzone tornerà infatti in una versione decisamente più ritmata sul finire dell'album. A questo punto è il momento di quello che è probabilmente il pezzo più struggente dell'intero album: Magician il cui secondo titolo Internally ci suggerisce che la sofferenza e la prospettiva della morte sono narrate dal punto di vista del malato. Il paziente si rivolge per buona parte della canzone a un mago supplicandolo di salvarlo, di portarlo via, di regalargli altra vita perché ci sono ancora moltissime cose che vuole fare. C'è però un momento della canzone in cui l'interlocutore diventa il medico: "dottore, tu non sei un mago e io non sono credente, ho bisogno di qualcosa in più di ciò che la fede può darmi" seguito dall'amara presa di coscienza "voglio credere ai miracoli e non solo ai numeri". La successiva Sword of Damocles - Externally tratta della difficoltà nell'accettare l'incurabilità della malattia, ma stavolta dal punto di vista di un amico che immagina che una spada di Damocle penda sulla testa del malato "Ho visto un sacco di persone morire per incidenti d’auto o droga; la scorsa notte sulla 33a strada ho visto un ragazzo investito da un bus; ma questa tortura prolungata alla quale una parte di te sopravvive è molto dura da accettare; per curarti devono ucciderti, la spada di Damocle pende sulla tua testa". Seguono due brani dai toni e dai suoni decisamente cupi: Goodbye Mass - In a Chapel Bodily Termination che racconta il funerale e Cremation - Ashes to Ashes che è una poetica riflessione sull'ineluttabilità della morte anche da parte di chi è sopravvissuto. Queste canzoni lasciano il passo a una serie di brani legati al dolore che affrontano temi quali la negazione, il rimpianto, il desiderio di vendetta e la nostalgia. Merita una menzione particolare, in quanto è l'unico brano che un po' si distoglie dal concept del disco, Harry's Circumcision - Revery Gone Astray in cui il protagonista, guardandosi allo specchio e vedendosi somigliante al padre, inizia a sfregiarsi fin quasi a morte e quando viene salvato dei medici che gli dicono che sopravviverà ma il suo volto non sarà più lo stesso, scoppia a ridere. Come anticipato, dopo questa serie di canzoni che si chiude con Gassed and Stoke - Loss in cui il narratore telefona all'amico morto per sentirsi rispondere da una voce registrata che il numero non è più attivo, torna Power and Glory - Transformation che segna il momento in cui si sono passate le fasi del dolore; il brano mantiene infatti lo stesso testo del precedente ma con un piglio decisamente più aggressivo. L'album si chiude con la splendida Magic and Loss - The Summation che segna un profondo esame di coscienza da parte del protagonista e mette in evidenza la voglia di vivere nonostante la consapevolezza dei propri limiti ("Dicono che nessuno possa fare tutto, ma tu lo desideri ardentemente, ma non puoi essere Shakespeare e non puoi essere Joyce, quindi cosa ti rimane? Sei bloccato e attanagliato da una rabbia che può ferirti. Devi ricominciare di nuovo dall'inizio e proprio in questo preciso momento quello splendido fuoco torna ad ardere").
E quei versi, in apertura di questo articolo e in chiusura dell'album, che ci dicono che c'è un po' di magia in ogni cosa e poi anche un po' di perdita per compensare, suggeriscono forse che il dolore per la persona perduta è inevitabile, ma che è necessario anche soffermarsi sulla magia che la stessa ha lasciato nella nostra vita.

Commenti