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Niente di vero. Tra ironia e onestà

Non è facile ritrovarsi nelle pagine di un libro, sentirsi così vicini alla storia ad un passo dal sentire le stesse emozioni dell’autrice, senza però appesantire l’animo. Questo è il successo di Niente di vero di Veronica Raimo.

La copertina del libro Niente di Vero di Veronica Raimo

Finalista al premio Strega 2022, edito Einaudi, aggiudicandosi il Premio Strega Giovani e il Premio Viareggio nella sezione Narrativa, è un memoir che con sarcasmo riesce a trasformarsi in un romanzo di formazione senza mai perdere la vicinanza con il lettore.

Nei romanzi di formazione, quelli in cui seguiamo il protagonista nella sua evoluzione, spesso ci imbattiamo in storie lontane, di personaggi aulici e importanti, le cui eccezionali storie fungano da faro. Percepiamo storie lontane, alte, come se vivessero in un’altra realtà.

Veronica Raimo, invece, è un’amica, una compagna di banco, la vicina di casa. È una realtà tangibile che il lettore riesce a percepire come propria.

Nasce a Roma il 1° giugno 1978, si laurea in Lettere con una tesi sul cinema della Germania divisa, vive a Berlino lavorando come ricercatrice presso l’Università di Humboldt. Lavora, poi, per divere case editrice come traduttrice dall’inglese. Il suo esordio nella narrativa risale nel 2007, quando pubblica il romanzo Il dolore secondo Matteo. Ha scritto la sceneggiatura di Bella addormentata, con Marco Bellocchio e Stefano Rulli. Il film diretto dallo stesso Bellocchio è stato candidato ai Nastri d’argento nel 2013.

Ha collaborato per vari periodici e quotidiano come Rolling Stones, la Repubblica XL, il Manifesto, il Corriere della Sera e Amica.

Come già detto, scrive poi Niente di vero nel 2022, con il quale arriva finalista al Premio Strega 2022, aggiudicandosi il Premio Strega Giovani e il Premio Viareggio nella sezione Narrativa.

Veronica Raimo

Quella in cui cresce Veronica è una famiglia eccentrica della periferia di Roma nord-est. La madre è un’insegnante delle medie. È una donna molto apprensiva che spesso soffre di depressione. Il padre, direttore di un’azienda, è un uomo ipocondriaco che non riesce a comunicare senza le urla e l’aggressività. La rabbia sembra essere l’unico sentimento che conosce. Costruisce un ambiente chiuso attorno ai propri figli, spesso li costringe a stare in casa per paura delle malattie o disgrazie.

Veronica non è sola, c’è Christian suo fratello più grande di tre anni, un ragazzo sveglio considerato “il genio di casa”. I due ragazzi passano un’infanzia piuttosto noiosa, le loro giornate si svolgono perlopiù in casa a giocare, ed è così che Veronica si costruirà un falso io che le permetterà poi di diventare una scrittrice.

L’umorismo è la principale caratteristica di Niente di vero. È il principio attorno al quale ruota la storia, una storia che è costruita da salti temporali, cambi di rotta improvvisi, racconti revisionati ai quali si aggiunge sempre qualcosa. Tutto cambia in ogni istante.

Come se non ci fosse niente di reale, niente che appartenga davvero alla protagonista. Una sensazione che accompagna il lettore per tutto il libro e che caratterizza la vita di Veronica.

Il racconto non segue un ritmo lineare, la narrazione si sviluppa per temi: partendo dall’insistenza dell’ansiosa madre che protegge in modo ossessivo questi due figli e che le mette una particolare pressione per avere dei nipoti.

La scrittrice si racconta con sagace ironia, attraverso episodi della sua vita. Dalle fughe, reali e metaforiche, per non sentirsi costretta nella realtà familiare. La scoperta dell’amore e del piacere sessuale, il legame con il nonno paterno e quello con il fratello Christian, anch’esso scrittore.

Il racconto non segue un ordine preciso, si esplora l’infanzia di Veronica per poi arrivare alla vita adulta, e si torna indietro. Da questo flusso di episodi imbarazzanti e sconcertanti e scene familiari emergono due aspetti molto dolorosi per Veronica: la malattia e la morte del padre da una parte e, dall’altra, la fine di un’amicizia.

La protagonista è spesso dura con sé stessa e sembra rimproverarsi per la tendenza a essere imprecisa nella narrazione, ma anche a sparire o essere distante nei rapporti importanti.

La chiave di questo racconto è l’onestà, un racconto di sé che attraverso l’umorismo e l’ironia non ha paura di mostrare le proprie fragilità, le proprie zone d’ombra.

È un romanzo sulla famiglia, sui rapporti e sulle relative disfunzionalità. Un’opera che aiuta il lettore a fare i conti con le proprie creature leggendarie, con le proprie madri, padri, fratelli. Veronica Raimo racchiude tutta la propria vita in un libro, raccontando la propria verità attraverso una prosa intelligentemente ironica.

Immagine sfocata da dietro

L’incipit dell’opera recita “Quando in una famiglia nasce uno scrittore, quella famiglia è finita, si dice. In realtà̀ la famiglia se la caverà̀ alla grande, come è sempre stato dall’alba dei tempi, mentre sarà̀ lo scrittore a fare una brutta fine nel tentativo disperato di uccidere madri, padri e fratelli, per poi ritrovarseli inesorabilmente vivi».

Quest’opera è come affrontare una terapia attraverso esperienze altrui. Un racconto diretto, tagliente, ma privo di banale retorica. È una storia che ha più facce, Veronica è una protagonista che può assumere più sembianze.

“Per me scrivere è essenzialmente questo. Scrivo cose ambigue e frustranti. Anche le poche favole che scrivevo da bambina erano cosí. C’era una spiga che era cresciuta in un bosco. – E com’è successo? – mi chiedeva mio nonno. – Non ne ho idea. La storia finiva lì́. A mio nonno stava bene. A me pure.”

(Veronica Raimo, Niente di vero, pagina 163)


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